Fortuna Della Porta
 
 
 Rìmare





















Rìmare

1
Quando accoccolo il sangue a scrivere rime
Mi colgo rabdomante del mio sentire
E alla radice dell’anima appiglio la vena
O esploratore estatico dipano il filo
Nella foresta inviolata con l’alito della vita.
Se non scrivo di poesia perdo me e le ore
Che si torcono in un mazzo di pruni
Goccia il mio soffio romito nella scultura
Dei tasti incolonnati sul vassoio dei pixel
Allora s’aprono gli occhi colmi di grazia
Perché se non scrivo di poesia non penso.
Non mi trovo.
Ma, presunto poeta senza una scuola
Quando nego i sensi al groppo del mondo
Ho solo amici, a dimora, di tempo consunto
Che bevono con me caffè di liquirizia
Racchiusi in epitaffio ornato di allori.
All’orlo della pagina, di giorno e di notte,
Quando sanguina il sole e abbacina gli occhi
O sosta luce dentro il barlume degli astri
Ospito cori a sfogliare dal nulla della tomba
Impigliati nella tela di una raccolta
Con traduzione a fronte dove incipia l’eterno
E io insieme pur in pasto a un esercito di mostri
Riccardo Reis ride e io inseguo per consolarmi.



2
Per strade chiuse in un chicco di riso
Per strade lasciate dal flutto, inorgogliose
Straniere, night in the sockets rounds,
Pulsa la notte-vino spillata dietro il sipario

Rabbrividisce un pensiero dai capelli taciti
Di specchi deformanti la spiga di grano
Qui in questa strada sporcata da tutti i tempi
Da ogni premonizione e da avanzanti futuri

Divorati in piccolo grumo da tutti gli istanti
Un gatto ronfa e un orfano al muro del pianto
Un suono non oltrepassa lo spessore del marmo
Per strade gelate per pietre tombali per cento peccati

Per strade la notte-agonia si perde sostanza
Impicca l’avventura all’albero del doppio falso
Per strade nude desiderio sanguinolento di carne
E farsi-sfarsi delle-nelle lattiginose acacie.




3
Dove sono i vivi?
Fanno rumore scurrile come la morte.
Attraverso i rumori dei vivi,
Rumori di escrementi,
flatulenze, risucchi gastrici
E’ più arzillo un fiore
che ha già scrollato la corolla e poi tace.
I vivi occupano acquario
Di nitore incerto
Bocche spalancate per tacere
Occhi aggroppati
Alghe a legacci
Inceppati
E sarebbero già morti
Senza ossigenazione obbligata.
Non alcuna domanda
L’apparenza gode sensuale
Apparato
Ostentato
Troppo ingombrante e silente
Scavare la crosta a piccone
Scoccato
Nell’acquario umano nessuno a vedere
Accadere
Come se anch’io fossi morta
Non mi rassegno
Alla ricognizione
Annaspo per liberarmi.
A salvarmi.




4
Ma se questo giorno fosse l'ultimo vero
E qualcuno avesse in mente di svenare
Il mio essere nell'essere stato
Non scaccerei una mosca dalla scena finale
Invece sprangherei a lume ogni varco
Da cui a fuggire mia anima germana:
-amami ancora un poco, piantala, per la miseria!-
Metti in chiaro una volta per tutte, anzi adesso,
Cosa mai ci guadagnavo indifferenziata
Nell'eternità che meco non ha filato i patti.
Già allora circonfusa di lacrime predestinate?


5
Dieresi spalancate da Walt Whitman, il primo,
Comincio da lui,
La sua epica intrisa di futuro, sul carezzevole poema del fiume,
Il suo inno per la nazione
Il solido anelito cui attaccò se stesso, il suo talento e, mio capitano,
I suoi amori non reticenti
Il mistero della Dickinson ripiegata sul suo mistero
Sigillo vitale
Di un’anima che esprime l’inesprimibile -e tutti gli apici-
Tocco addomesticato
Da iniziatica sul bateau di Rimbaud, il mio visionario,
Scorrazzare fuori di me
Tra gli idiomi e le iperboli e il parossismo come fascio di salice
Nella terra desolata.
Di Poe e Walcott e Omero e Dante per superarli
In malora il mio sacrilegio
Vanga per scavare poesia in voragine immensa
Di un’immensità ancora più vasta
E un monumento che tocchi il cielo e lingue che si ricompongano




6
Piove stamani. Il cielo è un subisso
Di urla e ignominie. Greve in cagnesco
Sui pini dal saldo piede e sulle baracche peste
Un avventore a raccattagini attende
Cincischiando pozzanghere, a fronte
Di vento in tralice, pugno di ferro,
Sotto cupoletta lanceolata, allo scompiglio.
Per adesso crapule di scarpe, ciarpame
Teli multitinte in pugnace trasferimento.
Ma le maschere non demordono mai,
Maschere, dal giro a scatto,
Logore d’assenza, roride a cospirazioni,
Assillano la pianura a fiati sciolti
Con cip nel cervello per funzioni globulari.
Dietro alcuna maschera mai mi sobbarco
Impudenza non basta e non attendo confische
Propendo all’indicibile dei guazzabugli umani
Né da scriteriata li annuncio conclusivi.
Mi piacerebbe sgarbugliare solo di me,
Oggi, in afasia, accanto al lamierino a cascata,
Con la natura amica, -come mi geme la malinconia!-
Nera di fuliggine, pronuba e consigliera
Investigo i miei ispessiti mascheramenti,
La forra a pascere degli sprofondamenti
Dov’è il sale più sordo delle mie miniere
L’oscuro il perverso il miserabile, gole e dirupi,
Doppia elica elicoidale, cacofonia pedestre,
E quanti tripli, quadrupli a trapunta.
Soffro marcio e sabbia a filtrare i pori
A trivellare mi prostro, m’importa di farmi a pezzi,
Piallo pali a sostegno e lucerne all’elmetto.

Pioggia, traditrice, non tingermi di nerofumo
Regalami una falla nel cumolo. Via, basta per oggi.
Oggi mi spiaci, poetese, meglio mi serro.




7
F.D.P Ode pour l’election de son sepulcre
Clio occhilucenti, ecco la mia urna mondata,
deponila sulla riva gigliata della risacca volubile
aqua laudatur sit et mare e la sabbia di silice
accerchiala di tua mano al fico d’india là in cima
intrapreso di roccia e molli acuminate midolla
della mia morte risorta rimbombano le orecchie.
Al sacello traslucido di luce vesperale
o biacca colore d’arenile Clio, sii saggia,
dissuggella sinuosa il cuneo della mia conchiglia
sollazza l’ermetico impolverato pallottolarmi
e dunque astuccio d’aria alzarmi in ala vagante
E tronco di quercia incava per depormici in fama
Uccelli, grilli, a trillare della dissoluzione giapprima
pascunt et alunt meam animan ad libitum
j’ai trouvé une goutte de vermeille en fin
do it, immortala la mia secca grancassa dalle ore aduse
tempus tacendi nessun serto da posteri o Muse.




8
Quella mitraglia
quando ingoia un destino
Laggiù
Un muro
quando cade dall’alto
Una pietra
Sigilla
quando l’alba manca la luce
Il Silenzio
Incontra
quando la notte si ghiaccia
Giorno
Dopo
Giorno
quando la fine è più tossica
Bombe
deserto-bombe
Tombe




9
La mia bocca è triste. Che avrà la bocca
Collo mi cade. Che intende dire
Mi cuce il labbro una spina di fuoco
Un sole fradicio appena spillato
Ha rispedito alla fonda i raggi
L’albero crolla di tubercolosi
L’aere tace rinchiuso a martello
Filacce elettriche per sbarramento
Secco di piombo trancia il respiro
Aprile si è riscoperto d’inverno
La stanza gela, gela il rumore,
Vola la mensola, tentenna il cielo,
L’afasia scava un burrone profondo
Per convertirci il mio affanno muto
La mente sforbicia les mots e tace
Stamani sì il mio bit ha ceduto
E non ho zero da opporre. Muoio.



10
Sono la tempra della prima rima
che mi abbagliò tra le dita
A sett’anni o giù di lì
Piccina carente ocarina
All’onere della parola
Marmo che fissa emozione
Fuoco che brucia passione
Palude che affoga dolore
Lebbra del selvaggio destino
Occhi che bruciano vero
Occhi di gesso occhi di clown
Dietro un mangiatore di fuoco
Ultimo canto del cigno
A scrigno sulla sua perdita
Uomini mostri e uomini vati
Creature dai cento peccati
Rughe che sbranano
Mano che infradicia insonnie
Canizie imperlata di pioggia
Brandelli del sangue
Spezie avvelenanti
Presentimenti sgomenti
Affetti deforestati
Giorni puntigliosi pirati
Canto questo musico canto
Al segno-vanto che m’iscrive.



11
Tenebre sento che il mio disarmato
Verso è leggero e non prosciuga il mare,
Butta via la preghiera, vola come
tenera piuma sulla convenzione
Della mia mente ordinaria, batto
I polsi a sorte affinché fuoriesca
E fruttifichi e stia la mia parola
A quella degli altri. Il singulto
Del mondo bevo, defloro la notte
Il crepacuore di Iside sussurro
Per ripartire il pane delle fate.
L’onirico mio candore muliebre
Consegnerò ad un angelo puro
Su una collina di mille o più anni
Da affrancare alla stasi di sangue,
Il pensiero a morte delle pietre
Posate lungo i fiumi come agnelli
Cadere nelle lacrime infauste
A meretrice che svende di fame
E piacere, assaggiare insconfitta
Viscere spurie a un penitente
Girare al secolo la toppa buia
Avverminata di nessuna paura
Con la chiave a croce della vita,
In simultanea zaffata d’inferno
Quando la terra siglerò col dono
Di profeta sarò allora un poeta.



12
Nell’ombra della pineta tacita s’agguanta
L’afa sdolce d’agosto come lenzuoli umidi
E non una freccia di vento insinua il piede
Tra cipii di passeracei, anche la lucertola tace.
Nell’ora della calura vale lo scrollo della cicala
Ai timpani con le ali a cocca, trilla la sua vittoria
Beffarda ultrice sul vigore della pista tracciata
Prima della spossatezza, prima che si perdessero
I propositi delle prime luci. Sono arse le ninfe
gli gnomi e gli elfi nel fradicio ribollire d’agosto
E una tara sospesa e spettrale accudisce il bosco.
Sfatto il terreno ruggine schierato dalle formiche
Pesa oltre la chioma-ombrella un pallidissimo cielo
Con una musica che non si regge, abbacinata e greve,
Tace il ritmo del mare oltre il corredo di sabbia
Perché Tritone ha abbandonato i flutti e Eolo l’otre
Ogni sostanza si è cangiata in onta o risucchio
E non c’è chi possa guardare intorno e puntellarsi
sull’esilio immobile di un libro scritto di ignoto.
Si sfaldano i lacerti mentali contro l’inevidenza
Danza alla gravità a decrescere la bonaccia del corpo
Derelitto in nuova estraneità, ma pure di questo mondo.
E’ lo sceneggiatore che oggi fa fuoco e domani neve
E ci sforza a ogn’ora con l’esile staffile del suo grimaldello
E parla oscuro in incognita, ci risparmia o ci doppia
Nulla che rassicuri il brivido che d’agosto ti prende


13
Musona
Catalettica
Casa sventrata accanto al mio garage
A vista di chiodi e muffe
Muschi scoscesi
Abitata dai gatti la casa abbandonata
Senza intermediari
Senz’anima
E senza fantasmi.
La peso in palmo di mano
Senza abitanti
Senza dormienza
Come mi chiede
Maledetta di sola materia
La casa diroccata
Come una putrefazione
Non fianchi di papaia
Guance d’avocado
Tegumenti rossi
Come proprio un cadavere.

14
Al chiodo di questa stanza,
Scavata di sale e di sabbia,
Deposta nell’ovunque,
Di capelli e cavalli selvaggi
Ogni valvola pulsa e il cuore
Mi langue.
È il mio signore!
Badate che mi esalta la compagnia
Ah, i cinquanta figli di Priamo
Mai incontrati, mai visti
Nella mia minerale costanza
Ho un frustino per domare i volteggi
Un ciuco è il mio equilibrista
Anche un adulatore,
spesso burlone,
Rosso come un bonbon, mio cuoricino,
Capriole di clown, il mangiafuoco,
Come volano certi birilli, cari miei.
Coccodrilli a scaglie quadrate
Appigliano dappertutto
Secondo l’usanza.
L’umidore
La foresta di fiati, i peccati per lo più
Di gente esaltata
Sospirando un dolce al limone
Qualcuno scia una banchisa di passi
E un aski dal doppio iride apre la danza.
Cola il sudore
E mani si agitano mi salutano mi fanno largo
Che non mi diano un vicino banale
Quelle donnette piagnucolose dentro una ruga
Senza precettore
Odor di bucato e stiro a vapore
Ecco sfoglio la slitta come una margherita
O il candore
Di un figlio
Nel profumo chiassoso di questo consesso
Oziare nel parapiglia è la mia stravaganza
Senza pudore
Lontanando il mondo come una coppa di rabbia
Il treno deraglia lo stesso col suo bagaglio
Oppure si blocca prima chi lo può dire
Argino il tutto con un punto fermo. Oddio,
Qui ride ad oltranza
Un mulinante parato di fiori
Propiziatore,
Proust verrebbe a testimonianza?
Una signora là fuori canticchia
Ha il bucato ad asciugare in terrazza
Dieci gradi di cielo, mai abbastanza
È tutto ciò che mi posso concedere.
Ipnotizzatore
Sguardo della fortuna da un occhio di lapislazzuli
Intrecciato di spago e perline, talismano,
Beffatore,
Bracconiere di credulità lo sfido a divinarmi.
Qui nuda in mezzo alla folla,
Nella traccia lasciata dai beduini
Scalza
Se un deserto è pulito come uno spillo
In una notte di ogni accampamento
Cielo caduto, fuoco precipitato
Talvolta livore
Nell’ unico viaggio del cammelliere
Tempeste di nubi e mercati d’oriente
La sera muore
In compiuta sostanza
Peripli cremisi, occhi di bistro
Ove mi conduce la fantasia
Roma al suo apice, paccottiglia di lusso
Oggi come ieri
E rasi di fagiani farciti, la cena di Trimalcione,
Qui celebro un funerale, ma quanti siamo, accidenti,
Una costola di Mozart, la sinfonia dal nuovo mondo.
Interlocutore
Del Paradiso
Mi segue dall’altro vuoto
John Donne con un saio d’organza
Mi parla d’amore e destini,
Shopenhauer mi chiude la notte.
Passo ai miei complici il sabba
Si strugge Leopardi alle stelle dell’Orsa
E un frullo nella mia stanza avanza
Che lascio a sgranare
Il tempo di guardarmi passare



15
Non gettare amore nelle mie scabre parole
Non volgere il tuo cuore alla disattenzione.
Mente la guancia rossa che ti implora
Trattami col disprezzo di un supplizio
Se ti pungo, arretra. Non ne vale la pena
Non battere a tutte le porte non mi schiudo
Non sono in nessun luogo non merito conforto
Non conosce la mia intimità il sigillo del sole
Non sono l’angelo alato delle antiche vetrate
Nella mia falesia di porfido manca la pace
Non merito la strenna della tua innocenza
E quindi scelgo parole adunche e spezzate
Sigillate come cristalli ora per raggelarti
Pietrame rappreso uscito dalla mia carne
Eppure perdo versi perché tu mi ritrovi
Un lume inchioderà la menzogna e la notte.



16
Quaresima la mia onore ai grandi
Villon, per esempio, impiccato
Incappucciato
Con l’ umile testamento pronto
Appena in grazia
Appena morto
Una lingua di fuoco arse la terra.
Chi non ricorda il cataclisma?
Per il sublime Dante, morente
Prematuro
Già esiliato
Sbatte il rombo delle cordigliere
Prefiche vi urlano insazie
Una sùbita onda arrovescia
Dall’Arno al suo bel San Giovanni
Cadono a braci stelle e pianeti,
Scrollano
Pietà sull’orizzonte ignudo
Nunc perpetua nox diuturna fera.
Poi morì anche Yeats e di nuovo
Latrano pipistrelli a torma,
Tane cacciarono volpi, i nidi
La cova
Caddero pezzi di monti, piombi
E arcani.
Appunto, dovrei solo tacere
Per inettitudine
E sbarrare il rigo al ridicolo
Del gracile ingombro che verso
Si arroga
Ma diedi anch’io un primo bacio
Levità che mi prese in rosario
Come mina che ruba e fantasma
E sangue agitato da sgherri
Vorticanti
E due scogli dalle mie perfette
Acque nostalgiche
Sono due neri sassi rugati
Che da sempre appelliamo fratelli
Si gettano ancora i monelli?
Nata nello smeraldo del mare
Sotto un fico di verderame
Sudato
Equoreo di cristalli di sale,
Liquida Storia e Mito nell’ambra
Quando Sibilla al vaticinio
Nella chiusa coperta dell’antro
Si vede da lontano Vulcano
Dalla mia bianca casa estuaria
Trapungere alla brace lo scudo
E accanto Teti premurosa
A sventolarsi
Soprattutto all’etere sagolo
Invisibili mute domande
Eterne irrisolte.
Anche se all’anima mia ignosco
E io stessa vi ragno la spocchia
Fra poco mancherò e-tanto serve-
Voi,
Che in vero non siete mai morti,
Almeno secondate in refuso
Mia bubbola di sopravvivenza.



17
Renitente sorriso da un ritratto
Di fanciullesco impaccio
Su due lustri occhi a riccioloni
trepida triglietta in ansietà
Appesa alla tracolla di una borsa
la formicola mia madre crosciava
nottetempo a crochè
alle scarpine d’ordinanza
e le calzette avvoltolate, bianche,
Davanti a un muro inassegnabile
Di parietaria e calce rubata
un uccellino rimpannuccia
meno sprovveduto e perplesso
Si capisce che non sapevo
che avrei bruciato dal lunedì alla
domenica
E sarei triplicata a palme aperte
visto mitraglie e loro disfatto
Soppiantare il patteggiamento
braccine seccate fendere i lampi
pance ingozzate di inedia e malaria
ossi di lebbre multinazionali
esplodere gli ectoplasmi della
fantasia
Il raggio verde, malinteso
occitanico
incolpevoli terremoti e croci
rastremati sull’imprevidenza
La mia volontà resiliente e ribelle
L’oceano dei sortilegi
e la Cortina di ferro
Che lusinga per opporre un rifiuto
Il Mutamento, nata al dopoguerra
Da famiglia operaia in forza
di martello e cazzuola ma non
analfabeta.
La mia torrida testa insonne
a vorticare
Pur convolata a tutte le tare
Da lì a poco noleggiavo scandaglio,
un nume,
con l’orecchio al suolo ove pure
adesso m’incaglio
E poi il maschile di me che penetra
Il cardine di ogni pagina
innumere.



18
Mastro Geppetto orbicolò gli occhietti
Dal ceppo di un legno
lazzeruolo
Il naso e l’omero attecchì
Con viti alacri e conformi
Gli pinse un ciuffo impomatato
Sovra l’ala dei globuli burloni
Col bitume al colmo e ciglia
in specie di persona
Monologante gli mosse i primi
Passi, nei trucioli cominciarono
A scappare
Lo imboccò di penuria
Gli apprettò la giacchetta
Lo perdonò
Gli rifece i piedi strinati
Lo riperdonò
E vagabondo di scarpa e di senno
Lo sciagurato
Allocato in ciuco
scarrupato da cane
ruminato dalla balena e rigettato
Prima del noviziato
Azzeccato e fatato
di carne e di status
Didascalico monello
l’inchiostro terso.
Pinocchio nondimeno
è antiverso
Nasce in bocciolo e si accasa
Nunc ipsum in legna cerasa, almeno
Ci fa.



19
L’epifania è negata
Alla liscia libellula del treno-tempo
Che corre a perdifiato il rullo
Su due binari di fosforo
oppure è il giracosmo
grossier
sull’ ellisse di tutti i ritorni
Nell’andirivieni vichiano
Parteggio per la scepsi
da miscredente contemporaneo
lo accoccolo invece
in uno dei fuochi
l’immoto moto perpetuo
la stasi
dell’orologio-tempo
la severità
del cambiamento apparente
se la stirpe immutabile
gitta la fionda dal bombardiere
ha serpi in seno
il temporale
della caverna
e nessun progresso
Machiavelli avanzamento
Ma un giorno sarò troppo vecchia
Per ricusare
La vecchiaia di solito non trapassa
eretica.



20
Poi squillerà la tuba del giudizio
Ad est, intorno alle otto,
sulla catena della fattoria
Certo all’equinozio come d’esordio.
All’improvviso le nuvole a coppa
Come splendide lacrime
Si gonfieranno di granula spuma
E di gioia a grappoli
E l’angelica gonna
E le vele delle angeliche ali
Dell’ ambasciatore celeste
Abbaglieranno anche un cieco
E la sfrontatezza dell’uomo.
Getterà una nota angelica:
la tromba toccherà il suolo
ne arrovescerà il paradosso
per scuotere dal letargo le tombe,
l’acqua tremerà
nel grembo bruciante del mare
s’infrangerà il vaso-cristallo
le radici degli alberi all’aria
scarnificate dalle dita dei vermi
l’uccello perderà le ali
come un pensiero agonizzante
la rosa verrà in letame
calpestata dalla stridula vanità
cadrà pioggia di fuoco
Il vino tramutato aceto
fatti i fiumi deserto
e si leggeranno i sette sigilli
del tempo che perde se stesso
perché le donne non avranno
propria stirpe da un pezzo
l’utero sulla forra si prostra
ma anche la roggia è secca
gli alberi sterili.
I biancovestiti da un lato,
i malnati dall’altra
la schiera dei bimbi nel mezzo
masticando la fine del vaneggiamento
gli uni leviteranno, conosciuta
e inverata Forma-Sostanza
gli altri brucheranno la ghiaia
con le piante ulcerate
lo Stige da varcare
a conferirli all’inferno le braci.
Un gran palcoscenico
Ottimo il regista, unica la scena
Troppe comparse, occorre stabilire.


21
Il Signore disse
Ogni uomo è come l’erba
O come il fiore di campo
Che nasce e muore
E solo il Verbo si serba
Non faccio che aguzzare il dolore
E microlampo
di fuoco fatuo il mio orecchio rampogno.
Ma il silenzio acerba
Mi consuma.

 

22
Esalate, cembali, la madida
nota
Salvatemi dalla persecuzione
la notte
Che strappa identità e sequenza
E s’impadronisce le spoglie
Di qualsivoglia fantasma- pensiero.
Siate simili al leone che la foresta
bracca
E in assolo regna la culla-limen.
Approfittate di me
Innalzate, cembali, un’armatura
Al vuoto
Che rapisce le vergini in boccio
Al desiderio e me come reietta.
Lo chiedo anche al flauto o alla cetra
Che parimenti volvono in sonoro
epilettico
A chiudere le palpebre al buio
Come alba alla frattura
dell’argine
Con l’ignea sua stilla di luce.
Non mi protesto innocente:
Semplicemente sono.
Alloquor dal nitore della mia bocca
Dal baccello infinito-assenza
Dal sottomondo incoscienza-mortificanza
Dall’orbo delle ginocchia in gran cimento
Dal cuore rasoterra il nascondimento
mi sveglierò da morta. Finalmente.



23
E poi il bastione del fuoco
Il nucleo
Cadrà su se stesso
Esausto
Il destino cosmico
che intesse e illude il filo dell’oro
su questo viale che non mi conduce
Tanto ti amo mio esilio colluso al millennio
sbarrati gli scrigni mendacio ai capelli
brucia la sonorità e neanche sento
Dalla mia vischiosità compulsiva
Per l’ecumenico inacidito banchetto
Un parco squillo d’intesa si nega ai piedi.



24
Nel mondo pedino il Bene
Dal tempo glaciale
Nella città assediata
Nel mio secolo minato
Nella mia stanza, l’anima
Nel presente regina
Nel fiore di un’ incolpevole pagina
Sfruscio di geografica durata
Tutto m’avanza al Bene
La differenza tra Male e Bene
è il libro nero. La mia anima.




25
A Federico Garcia Lorca
Luna sul Tevere
scaglie che gemono

Fermati, ardesia,
mi voglio immergere

Uccello ignaro
Sotto il passato

Fermati ardesia,
mi voglio immergere

culla di pace
ricordi incauti

fermati ardesia
mi voglio immergere

Sciupati stagni
labbra di sangue corallo

Fermati ardesia
Mi voglio immergere

Acqua la tenebra
fossa il rimpianto

Fermati ardesia
Mi devo perdere


26
Amore, ti ricordi
Quando cademmo nei giorni
E nelle mutue parole
E l’impronta della luna
capriolando
Colse gli occhi lattiginosi
Sulle tue cosce vitree
E il grillo che si sgolava
A perdifiato, la lucciola
Concentrica e bighellona
E le strade senza peso
Gli spazi conclusi
nei nostri perfettissimi piedi
E il vortice del sangue
Nel suo serpente di rosa
I sensi scoppiati dal soma
Le cascate di tutte le luci
La nostra intangibilità
E il sincrono volo proteso
A sfida e onnipotenza
Oh, aria, unico pasto satollo
Amore, ti ricordi
Come si persero i giorni
Come s’ammutò parola.



27
Ah, Polifemo, è ben arduo
Il passo al tuo esercito in parata
Dai riccioli gialli e il piglio rattenuto
Così sovrabbondante nel campo
Pigmentato, la smisurata pupilla
Sotto il grande cielo
Irrigidisce lo slancio
lungo i raggi spigliati e
Solo la testa sul lungo esile collo
Risale la fotosintesi
Devota e fiera. Infaticabile
all’orizzonte la tempesta già
Affretta gli stormi imminenti
E l’occhio del vento presto
Pareggerà la piana da ogni rigoglio.
Coleridge, abbi pietà,
trattienila allo scoglio
Tu che sai, dai girasoli d’oro.

28
I poeti celebrati tendono l’orecchio
Al murmure notturno
Al clavicembalo
Gemono
I poeti celebrati si celano dietro
Le loro stesse parole.
Poker di risposte
Avanguardie
D’anime nascoste.

 

29
Marinaio,
Nel giardino del mio diletto
Folletto
Scorrazza mari profondi
Onde che si spaccano
In grinze fugaci
Staccano
Mareggiate flottanti
Su cui mente spalanca iati
Inabissali
Fiatati
Avvinghiata ai suoi coralli calcarei
Cianoficee filanti
Rimpianti
Vincoli pervicaci
Pesci dalle livree forestiche
Domestiche
Come sbocchi di sangue,
Pensieri all’orlo della sera
Neri, azzurri, lattescenti
Clementi
Indulgenti sfuggenti
Rinchiusi di orrore
O aperti di avventura
O impostura
Per fortuna, per mia consolazione
Non finiscono mai.