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Riviere

Posta a conclusione degli Ossi di seppia, questa lirica si proponeva di essere il riassunto e la fine di tutta una stagione di poesia, un'esperienza di vita che partendo dalla febbre del mondo del fanciullo e attraverso un'identificazione cosmica con le cose e la natura, giungeva a una mèta e una disposizione nuova, il porto sereno di saggezza ove fosse possibile "cangìare in inno l'elegia". Era una "sintesi e una guarigione troppo prematura", doveva confessare più tardi lo stesso Montale, mentre "la realtà che si andava preparando per l'uomo acuiva invece questa sua condizione inessenziale e poneva i presupposti per un canto più chiuso e misterioso, cui sarebbero state precluse anche quelle illusioni che rallentano talora il senso tragico della vita degli Ossi di seppia" (G. Manacorda).
(da "Tutte le opere" a cura di Giacinto Spagnoletti, Bruno Mondadori)


Riviere,
bastano pochi stocchi d'erbaspada
penduli da un ciglione
sul delirio del mare;
o due camelie pallide
nei giardini deserti,
e un eucalipto biondo che si tuffi
tra sfrusci e pazzi voli
nella luce;
ed ecco che in un attimo
invisibili fili a me si asserpano,
farfalla in una ragna
di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli.

Dolce cattività, oggi, riviere
di chi s'arrende per poco
come a rivivere un antico giuoco
non mai dimenticato.
Rammento l'acre filtro che porgeste
allo smarrito adolescente, o rive:
nelle chiare mattine si fondevano
dorsi di colli e cielo; sulla rena
dei lidi era un risucchio ampio, un eguale
fremer di vite,
una febbre del mondo; ed ogni cosa
in se stessa pareva consumarsi.

Oh allora sballottati
come l'osso di seppia dalle ondate
svanire a poco a poco;
diventare
un albero rugoso od una pietra
levigata dal mare; nei colori
fondersi dei tramonti; sparir carne
per spicciare sorgente ebbra di sole,
dal sole divorata…
                        Erano questi,
riviere, i voti del fanciullo antico
che accanto ad una rósa balaustrata
lentamente moriva sorridendo.

Quanto, marine, queste fredde luci
parlano a chi straziato vi fuggiva.
Lame d'acqua scoprentisi tra varchi
di labili ramure; rocce brune
tra spumeggi; frecciare di rondoni
vagabondi…
                Ah, potevo
credervi un giorno, o terre,
bellezze funerarie, auree cornici
all'agonia d'ogni essere.
                              Oggi torno
a voi più forte, o è inganno, ben che il cuore
par sciogliersi in ricordi lieti - e atroci.
Triste anima passata
e tu volontà nuova che mi chiami,
tempo è forse d'unirvi
in un porto sereno di saggezza.
Ed un giorno sarà ancora l'invito
di voci d'oro, di lusinghe audaci,
anima mia non più divisa. Pensa:
cangiare in inno l'elegia; rifarsi;
non mancar più.
                        Potere
simili a questi rami
ieri scarniti e nudi ed oggi pieni
di fremiti e di linfe,
sentire
noi pur domani tra i profumi e i venti
un riaffluir di sogni, un urger folle
di voci verso un esito; e nel sole
che v'investe, riviere,
rifiorire!


(Eugenio Montale, Ossi di seppia; Riviere)