Montale,
il poeta che ha avuto tra i contemporanei ancor vivo una crescita
di prestigio (e quindi di celebrazioni) quasi ingombrante, merita
certo per la sua prolungata rappresentatività un'analisi molto attenta.
L'autoraffigurazione del poeta è un tema della sua opera e ne accompagna
l'evolversi lungo il corso di una vita intera; egli inoltre vi ha
affiancato una successione abbastanza fitta, soprattutto dopo la fine
del fascismo, di interventi critici relativi sia ad altri poeti italiani
e stranieri (principalmente anglo-americani), sia agli attributi della
poesia in genere e della propria in particolare. C'è dunque una sovrabbondanza
di dichiarazioni da parte dell'autore, che tuttavia non illumina le
zone allusive e concettualmente difficili del suo prodotto. Montale
non si è rifiutato negli ultimi anni di rispondere alle domande dei
suoi biografi e interpreti, e su alcuni dei componimenti che apparvero
subito oscuri o addirittura indecifrabili ha acconsentito a dare spiegazioni,
precisando le circostanze in cui nacquero e gli accenni che contengono
a luoghi e incontri; si tratta di spiegazioni utilissime, che riguardano
i dati esterni, referenzialí, del testo e che ne lasciano invece in
ombra l'ampiezza ambigua dei significati, volutamente. Egli stesso
infatti ha detto una volta, riferendosi ai componimenti della sua
raccolta più discussa, Le occasioni, di aver fatto poesia pensando
« a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli,
o meglio senza spiattellarli ». Insomma, Montale parla del poeta,
e talora commenta se stesso, ma concedendosi un buon margine di arbitrarietà,
riservandosi il diritto di tacere e forse di confondere l'interlocutore;
la sua riflessione non vuole essere sistematica; egli cerca di sfuggire
alle formule globali in cui spesso i critici tentano di costringere
i poeti. Si tiene lontano dalle avanguardie, ma è indubbio che l'attenzione
critica e autocritica, l'intreccio fra il poetare e le dichiarazioni
programmatiche di poetica lo avvicinano a una delle tendenze più spiccate
del Novecento; e la fiducia accordata alla poesia quale via di salvezza
per l'uomo moderno dalla disperazione è un motivo che lo lega alle
tematiche e agli orientamenti tipici del periodo fra le due guerre.
Dopo questa premessa diamo, con cautela, qualche indicazione complessiva
che può rendere più semplice il primo avvicinamento ai testi.
- Vale la pena di tener presenti le messe a punto di Montale su poesia
e moralità; fra le molte ricordiamo: che la poesia è soltanto uno
dei modi, non l'unico, in cui può realizzarsi positivamente l'uomo
(« La poesia, del resto, è una delle tante possibili positività della
vita. Non credo che un poeta stia più in alto di un altr'uomo che
veramente esista, che sia qualcuno » ); che il poeta non è obbligato
all'impegno politico, bensì a quello morale, che fa tutt'uno anzi
con la poesia stessa (« Perché allora è una presa di posizione verso
l'umanità intera, verso il mondo. È la ricerca della ragione
di vivere. Ma il poeta non se la propone nemmeno, altrimenti non è
neppure un poeta »); che la più difficile delle virtù è la « decenza
quotidiana ». La linea tematico-ideologica che si profila in questo
tipo di osservazioni diverge nettamente da quella di D'Annunzio (al
quale invece deve molto il linguaggio di Montale); la poesia non esprime
l'artificio e l'eccezionalità, ma viene reintegrata invece in un rapporto
con il reale e il comune.
-
Dall'opera di Montale non ricaviamo una caratterizzazione sociologica
del poeta. È Montale stesso che l'esclude, rimuovendo dalla
propria area tematica le classi sociali e il loro conflitto. Non si
intravede nelle sue poesie uno scenario simile a quelli in cui si
muove l'artista dannunziano, l'eletto per sangue e per rarità di sentire
(generalmente un patrizio) che si innalza sulle masse; né a quello
descritto da Gozzano, dove l'alternativa è tra l'inutile poeta, destinato
nella realtà e per metafora a una morte precoce, e la lunga vita operosa,
ma senza fantasie e infine ugualmente insensata, del medio borghese.
Con Montale siamo oltre, anche storicamente. Il mondo che indoviniamo
nei suoi testi (attraverso gli ambienti, i richiami culturali, le
figure di donne e di amici) è interamente quello dell'intellettuale
borghese. Il rapporto conflittuale del poeta con gli altri non è però
descritto su questo sfondo socialmente determinato, ma è posto in
termini assoluti. L'antagonismo è (nel 1925, quando uscirono gli Ossi)
tra lui e « l'uomo che se ne va sicuro
/ agli altri ed a se stesso amico, / e l'ombra sua non cura »,
tra lui e « gli uomini che non si voltano
»: è un antagonismo che si presenta come esistenziale, una diversità
che si dichiara rispetto agli uomini che non hanno inquíetudini e
che tirano diritto.
- La poesia di Montale non è però evasiva. Anzi egli è uno dei pochi
in Italia che ha fatto sentire la parola poetica in presenza e all'altezza
dei grandi eventi. Quando nel suo primo libro propose un pessimismo
radicale che vanificava l'adesione a qualsiasi mitologia politica
(uscendo in dichiarazioni programmatiche come quella notissima dell'«
osso » Non chiederci la parola:
« Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò
che non vogliamo »), fu subito letto invece in senso antifascista,
cioè in chiave politica. Più tardi egli ha accolto fra i suoi temi,
in un modo peculiare, servendosi talora di oscuri disegni allegorici,
le tragedie pubbliche e le paure collettive di un'epoca. Infine nelle
ultime raccolte, scegliendo un linguaggio più discorsivo, è giunto
anche alla battuta d'attualità e alIo scambio polemico, ironizzando
su impegno e disimpegno, privato e pubblico, storia e poesia: «Dicono
che la mia / sia una poesia d'inappartenenza» (da Xenia I, 14
in Satura).
- Che cos'è dunque il poeta secondo Montale e qual è il suo posto
tra gli uomini? Dai testi viene una risposta a più sensi: è una coscienza
critica, un isolato; non ha messaggi da portare, su di lui si può
fare dell'ironia; non ha una funzione da svolgere, e tuttavia è necessario:
«La poesia non è fatta per nessuno, / non per altri e nemmeno per
chi la scrive. / Perché nasce? Non nasce affatto e dunque / non è
mai nata. Sta come una pietra / o un granello di sabbia. Finirà /
con tutto il resto» (da Asor, in diario del '71 e '72).
Dalle asserzioni, in negativo magari ma solenni, delle prime e più
note raccolte ai paradossi ironici delle ultime c'è una linea di continuità;
Montale non rinuncia a presentare la poesia come un valore, una forma
espressiva e di conoscenza quasi connaturata all'uomo. Si tratta,
come è ovvio, del tipo d'uomo che è stato storicamente espresso dalla
cultura del mondo occidentale e che si riconosce nella sua tradizione.
Le componenti culturali; la tecnica letteraria
e i procedimentí espressivi.
Montale si inserisce in un contesto filosofico in cui la crisi del
positivismo, e quindi della fiducia nel progresso necessario del sapere
scientífico, si è già compiuta. Incomincia a scrivere quando le correnti
di pensiero dominanti in Italia sono quelle del nuovo idealismo e
dello storicismo (Gentile, Croce), di cui egli però non accoglie l'intenzione
sistematica, che gli sembra rivolta a coprire (ancora in chiave positivistica,
con un atto di fiducia nella razionalità del reale) le aporie e i
fallimenti dei destini singoli e generali. Egli stesso raccontò poi
di aver sentito l'influenza di Emile Boutroux, uno degli spiritualisti
francesi che facevano appello alla «coscienza», in cui si manifesta
la responsabilità dell'uomo, e alla «contingenza», che è sinonimo
di libertà dal determinismo delle leggi naturali; e di essersi trovato,
senza una vera consapevolezza, vicino agli esistenzialisti. A Montale
resta estraneo il linguaggio della filosofia in senso tecnico; egli
elabora però una coerente concezione del mondo su cui agiscono sia
gli apporti speculativi che abbiamo ora segnalato sia le circostanze
politiche che, negli anni Venti, favorivano il diffondersi nella borghesia
liberale, e soprattutto fra i giovani, del senso di impotenza e di
costrizione. La realtà gli si presenta come regolata da una legge
necessaria in cui tuttavia il caso forse interrompe la catena di cause
ed effetti; gli uomini sono costretti in un insieme finito di possibilità;
d'altronde essi percepiscono soltanto frammenti di fenomeni, senza
coglierne il senso; e nei fenomeni rilevano inspiegabili e rovinose
disarmoníe: sofferenza non solo degli esseri coscienti, ma delle cose;
si spera allora in un'eccezione, in una probabilità imprevista, non
calcolata, che dia l'illusione della libertà. Montale non s'appoggia
a nessuna religione positiva, rifiuta anzi qualsiasi sistema di certezze
che siano esterne alla ricerca personale, spesso delusa, dell'individuo.
Il suo pensiero è in ciò del tutto « laico », anche se non esclude
una specie di confessata nostalgia del « sacro ». Uno dei suoi temi
tipici è infatti quello della «salvezza» (non cedere alla disperazione?
dare un significato all'esistenza?), che a volte sembra venire da
figure di donna, quali compaiono nei testi più difficili da Le
occasioni in poi; la speranza di salvarsi, in un universo così
materialmente crudele, rimanda all'idea del soprannaturale, ma più
ancora - e lo si vede via via nelle ultime raccolte - alla vita interiore,
a quel tanto che in esistenze precarie la memoria può conservare.
Montale compone versi con caratteristiche inconfondibili: egli evita
la psicologia e i sentimenti espliciti, esprimendosi invece mediante
scelte di oggetti, gesti, figure; non parla per astrazioni, ma costruisce
scene che evocano esperienze colte di volta in volta nella loro unicità
e diversità, e ciò sempre con precisione estrema di linguaggio, con
un lessico molto ampio che si estende dalla tradizione letteraria
alle parole esatte della prosa e della tecnica; avvicina i fatti privati
a quelli storici, i fatti storici a una condizione cosmica: nel breve
giro di pochi versi talora accosta rapidamente i movimenti infimi
della natura (vite di bruchi,o di lumache o di tarme) alle vicende
degli uomini private o collettive (e così minimizza il valore della
storia, la riduce a fatto di natura). Anch'egli, come tutti i poeti
di maggior rilievo del Novecento, viene dal simbolismo e rappresenta
la realtà fisica non naturalisticamente; un paesaggio che è simbolo,
che è metafora dell'esistenza si vede soprattutto negli Ossi,
da cui possiamo ricavare un vero sistema di oggetti che rimandano
a significati esistenziali e che torneranno nelle raccolte più tarde:
orto e muro (limitatezza, chiusura, opacità del non capire e dell'esser
prigionieri), varco (passar oltre, salvarsi), mare (l'illimitato,
la vita non del singolo ma in generale). In seguito il simbolismo
di Montale si fa più complesso, talora si stacca dal paesaggio, diventa
elaborazione concettuale più ardua, tende all'allegoria; compaiono
oggetti che servono a caratterizzare allusivamente un personaggio,
che fanno intravedere una vicenda; altre volte la loro scelta sembra
gratuita, sembra echeggiare il non-senso della vita in genere (nel
momento della catastrofe atomica sarà il portacipria a salvare la
donna di Piccolo testamento?
Non più, e non meno, di altre cose che sembrano di maggior valore).
Per quest'uso degli oggetti, che sostituiscono gli stati d'animo e
ne sono gli equivalenti, e per il modo di trattare come un «oggetto»,
autonomo quindi dalla soggettività dell'autore e dalla psicologia,
il testo poetico, Montale si avvicina a T.
S. Eliot e alla tecnica detta del «correlativo oggettivo».
Con Eliot egli entrò in contatto nel 1928, quando una delle sue poesie,
Arsenio (compresa poi nella seconda
edizione degli Ossi), fu pubblicata sulla rivista «Criterion»,
nella versione inglese di M. Praz. Altri poeti di lingua inglese che
Montale stesso ha segnalato come suoi punti di riferimento sono Gerard
Manley Hopkins (1844-89), Robert
Browning (1812-89), Thomas
Hardy (1840-1928), William
B. Yeats (1865-1939); tra i francesi Valéry (1871-1945), oltre
a Baudelaire
e a Mallarmé;
tra i poeti italiani contemporanei Pascoli e i crepuscolari, oltre
a D'Annunzio; tra quelli del passato Dante e Foscolo; con Leopardi
c'è qualche evidente affìnità di pensiero e di tematica. Ma bisogna
tener conto anche degli incontri con gli ambienti intellettuali: la
Torino di Gobetti, con il quale egli incominciò una collaborazione
subito interrotta dal fascismo; la Liguria, dove sentì l'influenza
di almeno due poeti, Camillo
Sbarbaro e lo statunitense Ezra
Pound che viveva a Rapallo; Trieste, di cui conobbe la cultura
attraverso Svevo e Bobi BazIen; Firenze, dove tra le due guerre si
concentrava un'esperienza prevalentemente o esclusivamente letteraria;
infine, dal dopoguerra in poi, Milano, che lo mise in rapporto attraverso
l'attività giornalistica e i viaggi con quel mondo internazionale
che fa da sfondo ai suoi ultimi libri.
Abbiamo già detto della straordinaria apertura del lessico montaliano.
Al contrario, nella sintassi e nella metrica Montale tende a forme
piuttosto chiuse: usa il verso libero, ma recupera anche con frequenza
i versi della tradizione (endecasillabi, settenari, quinari), sia
pur variandoli con calcolata irregolarità (spesso sono ipermetri)
e distribuendoli in strutture costruite liberamente. Oltre che sullo
strato ritmico, egli lavora molto sullo strato fonologico del testo,
con risultati a volte persin troppo vistosi; introduce le rime, in
fine di verso o interne, spesso giocando con quelle imperfette; quasi
combina a volte due schemi metrici (l'uno, canonico, scandito dagli
a capo in fine di verso, e l'altro interno ai versi, suggerito dalle
rime al mezzo che formano a loro volta una linea ritmica; e tenta
ogni possibile combinazione di suono. (Forse ha influito su di lui
anche la cultura musicale, che è stato un altro dei suoi interessi).
Ottiene i maggiori effetti dai contrasti: contrasti fra la ricchezza
lessicale e le perentorie asserzioni in negativo (negli Ossi);
tra una tematica che dà risalto all'incertezza e frammentarietà della
conoscenza e le forme invece compatte. Ha un particolare «realismo»,
nel senso che le sue immagini rimandano per lo più a un dato esterno,
a una realtà («lo parto sempre dal vero, non so inventare nulla» che
passa però a un significato anche simbolico.
(Cesarini
R. e L. De Federicis,
La società industriale avanzata:
conflitti sociali e differenze di cultura,
Torino, Loescher, 1986; pagg.1382)