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Commento a "Dora Markus"
Leggi la poesia

Le gambe di DoraLa lirica consta di due parti distinte, scritte a molti anni di distanza l'una dall'altra: la prima parte risale infatti al 1928, o al 1926, mentre la seconda è del 1939. Per comprendere la complessa origine della poesia, è necessario richiamare alcuni dati biografici dell'autore. Montale non conosceva, né conobbe mai, Dora Markus: aveva solo visto una fotografia delle sue gambe, inviatagli dall'amíco Bobi Bazlen col seguente biglietto datato 25 settembre 1928: «Gerti e Carlo: bene. A Trieste, loro ospite, un'amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus». La data del biglietto spingerebbe ad ascrivere al 1928 la prima parte della lirica, ma Montale sosteneva di averla scritta due anni prima, nel 1926, senza riuscire a concluderla («è l'inizio di una poesia che non fu mai né finita né pubblicata e non lo sarà maí»). La Gerti nominata da Bazlen è Gerti Frànkel Tolazzi, una signora di Graz che Montale conosceva bene e che nel 1928 gli ispirò la poesia Carnevale di Gerti, compresa anch'essa nelle Occasíoni. Nell'immaginario del poeta la sconosciuta Dora finí con l'assimilarsi a Gerti, tanto è vero che quando nel 1939 Montale decise di ritornare su Dora Markus («Alla distanza di 13 anni (e si sente) le ho dato una conclusione, se non un centro») il personaggio femminile non è più la fantomatica Dora, ma proprio Gerti: a lei che occupa la seconda parte di Dora M. lo Dora non l'ho mai conosciuta; feci quel primo pezzo di poesia per invito di Bobi Bazlen che mi mandò le gambe di lei in fotografia» (lettera a Silvio Guarnieri del 1964). Il complicato intrecciarsi di proiezioni fantastiche e psichiche che presiede all'accidentata gestazione della lirica fa di Dora Markus uno dei componimenti più misteriosi e segreti, ma anche più ricchi di oggetti-simbolo e di «occasioni» taciute e infine risolte in una disperata e buia visione della realtà del 1939, con gli orrori che la storia stava preparando - dell'intera produzione montaliana.

RIFLESSIONI SUL TESTO

Abbiamo già visto come Dora Markus sia un personaggio sostanzialmente di fantasia, un mito poetico. La questione della controversa datazíone della prima parte della lirica potrebbe acquisire nuove prospettive proprio alla luce della correlazione fra Dora e un altro personaggio di fantasia comparso nella seconda edizione degli Ossi di seppia, Arsenio. Ammesso che ambedue i personaggi siano proiezioni della soggettività del poeta (e certo sarebbe difficile negarlo), è interessante cogliere i differenti atteggiamenti che essi rivelano nel loro rapporto con la realtà.
   Arsenio è ancora alla ricerca di una via d'uscita, di un mutamento rispetto a quel «troppo noto / delirio ... d'immobilità» fatto presagire dal temporale imminente; e nel momento in cui il temporale giunge, sperimenta dolorosamente la propria incapacità di calarsi in una nuova e più autentica dimensione, a causa della resistenza opposta dalle «radici» che «con sé trascina, viscide, non mai / svelte», e quindi dalla sua stessa storia di individuo. Dora invece appare animata da un'inquietudine che rimane in superficie (proprio come da superficiali variazioni di colore dipende l'«iridare» delle scaglie / della triglia moribonda), mentre il suo cuore è un lago / d'indifferenza. Ogni speranza di mutamento è per lei spenta, e il suo destino è quello di brancolare senza meta attirata come una falena dalla luce dei fari, afferrandosi per sopravvivere all'incerta fede in qualche inutile amuleto.
   Non sembra arbitrario insomma vedere in Dora Markus un Arsenio dopo il temporale, riafferrato dall'«onda antica» della vita di sempre e ormai dimentico di ogni tensione a individuare A segno di un'altra orbita»: il «fantasma che ti salva» degli Ossi è ormai ridotto a un topo bianco, / d'avorío. Lo sviluppo logico della visione del mondo montalíana sembrerebbe perciò indicare per Dora Markus una datazione posteriore al 1927, anno in cui il poeta scrisse Arsenio, e dunque confermare la testimonianza offerta dal biglietto di Bobi BazIen citato sopra, in base al quale la composizione della prima parte della lirica dovrebbe collocarsi dopo il settembre 1928.



(V.De Caprio, S.Giovanardi
"I testi della letteratura italiana"
Ed.Einaudi . Pp 911-916)