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C'eravamo tanto odiati
di Antonio Debenedetti

Uno, laico convinto, morì recitando il rosario. L'altro, cattolicissimo, si spense (si dice) tra le braccia di una donna. Mentre libri e video li ripropongono, «Sette» ha chìesto a chì lì conosceva bene di raccontare le loro vite. Non parallele.

Montale senatore, Ungaretti fa l'amore», cantava spavaldo l'autore dell'Allegria quando l'altro grande della poesia italiana fu accolto a Palazzo Madama. Lo ricorda Carlo Bo, teorico dell'ermetismo e decano dei critici letterari italiani. Dal canto suo, Montale chiamava in tono vagamente canzonatorio Ungaretti «il Vate». Una rivalità che li ha divisi per tutta la vita, una vita che oggì due volumi editi da Eínaudi ripercorrono anche attraverso vecchi filmati recuperatí dagli archivi Rai.

«Giuseppe Ungaretti ebbe contro il partito dei laici, che gli contrappose sempre Eugenio Montale. Al poeta di Sentimento del tempo», dice il suo inseparabile amico e discepolo Leone Piccioni, «non è maì stata perdonata la vicinanza con il mondo cattolico e il sostegno che quel mondo dava alla sua opera».

Ungaretti campione dei guelfi e Montale campione dei ghibellini? L'esistenza di una contrapposizione è ribadita, sia pure con accenti più soft, anche da Bo: «Non so fino a che punto sì possa però fare una questione di laici e cattolici. Credo che molta importanza abbia avuto, nel determinare gli schieramenti, il fattore umano. Ungaretti era un personaggio straordinario, amabilissimo anche quando si arrabbiava. Montale era invece diffidente, a volte poteva essere scostante e maligno». Quindi, per sdrammatizzare, Bo aggiunge: «Nessuno dei due era laureato. Montale aveva un diploma da ragioniere, perciò, credo, odiava i professori universitari».

L'irresistibile risata a valanga di Ungà, come lo chiamavano gli amici della sua giovinezza parigina, testimoniava d'uno strano, fantasioso e inquieto amore della vita. Un amore che resisteva a lutti devastanti (la morte dei figlio prima, poi della moglie), a incomprensioni anche dolorose per la loro autorevolezza. Il poeta del Porto sepolto non fu infatti capito da Croce ed ebbe l'ostilità dei crociani quando questi esercitavano in Italia un vero e proprio predominio culturale. Nonostante il riconoscimento di critici di prima grandezza, a incominciare da Contini che gli attribuiva il merito di aver introdotto «nel verso italiano autentiche innovazioni formali», l'autore dell'Allegria fu non di rado avversato dall'ufficialità.

Non gli si vollero mai perdonare, ad esempio, i suoi rapporti con Mussolini. «Alla vigilia di un premio Nobel, una nota del Quirinale segnalò alla giuria di Stoccolma che Ungaretti era stato fascista, danneggiandolo in modo irreparabile», riferisce Piccioni. Chi era allora presidente della Repubblica? «Non un cattolico», è l'eloquente risposta.

Se Montale nasce in una famiglia della media borghesia, chiuso in un mondo di cui lui stesso avverte l'aridità e la noia, Ungaretti è invece figlio di poveri emigranti in terra d'Egitto. Suo padre, morto precocemente, aveva lasciato la lucchesia per andare a lavorare come operaio durante gli scavi del Canale di Suez. Dopo anni di collegio, dove ricevette un'educazíone cattolica fin troppo rigida, il poeta del Dolore inizia a frequentare Enrico Pea e gli anarchici della "Baracca rossa" di Alessandria d'Egitto. Ai tentativi della madre di riavvicinarlo alla fede, il nostro risponde con un gesto clamoroso. Dà fuoco alla barba d'un frate che era stato invitato a casa per ricondurlo sulla buona strada. La fede aspetterà Ungaretti più avanti, quando potrà giungervi con la consapevolezza di chi ha molto vissuto e molto sofferto.

Lasciato l'Egitto, terra di memorie mai dimenticata, Ungà approda giovanissimo e squattrinato in Europa. A Parigi, il ragazzo che presto avrebbe scritto in trincea e sulla carta da imballaggio delle cartucce alcune tra le più straordinarie poesie del ventesimo secolo, fa la conoscenza dell'assenzio. Una micidiale sostanza, purtroppo olto di moda fra i pittori e i bohémien, che in cambio dell'ebbrezza, dell'esaltazione incenerisce i nervi e giunge persino a provocare la cecità. Fortunatamente, a frenarlo in tempo dagli eccessi, interviene Jeane. La futura signona Ungaretti è una donna dal carattere dì ferro, il matrimonio con lei (saldissimo, a dispetto di tutto) funzionerà come una vena e propria ancora di salvezza. Jeane è la sposa, la consigliera, l'amministratrice, la madre d'un uomo spesso in balía della sua sensibilità..

Anche se frequenta le lezioni della Sorbona, la vera università di Ungaretti sono i caffè sui boulevard. È in quei caffè, con interlocutori come Soffici, De Chirico, Brancusi, Modigliani, Palazzeschi, Picasso e Apollinaire che Ungà definisce la sua vocazione alla modernità, il suo essere sempre schierato con il più schietto anticonformismo culturale.

Così quando, negli anni del fascismo, Ungaretti diverrà professore di letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Roma, occupando una cattedra istituíta apposta per lui, il mondo accademico non mancherà di fargli sentire la propria diffidenza e lo tratterà (fatte salve le eccezioni) con la freddezza riservata agli estranei o persino agli intrusi. E ci saranno momenti molto difficili. Nel dopoguerra, con la scusa che la sua cattedra era stata istituita dal Regime, si tentò di allontanare Ungaretti dall'insegnamento. E ci si sarebbe riusciti, spiega Piccioni, senza l'intervento di Guido Gonella, allora ministro della Pubblica Istruzione. Questi, rifiutandosi di prendere un provvedimento che non condivideva, rimise la decisione al Senato accademico. Che alla fine, dopo discussioni e battaglie, non osò votare un provvedimento che avrebbe gettato una gravissima ombra sul mondo universitario. Cosi Ungaretti poté continuare un magistero rimasto senza uguali nella storia della didattica italiana (le sue lezioni sono ora raccolte in un Meridiano ottimamente curato da Paola Montefoschi).

Laico per tutta la vita, assicura Carlo Bo dando una notizia fino a oggi ignorata dai più, Montale è morto recitando il rosario. La religione, insegnatagli dalla madre, aveva lasciato in lui un segno incancellabile. Ungaretti, uomo dell'amore, ha lasciato questa vita in casa di un'amica, forse (ma nessuno lo sa con certezza) nel letto di lei. «La consuetudine giovanile con il mondo arabo gli faceva capire che non c'era contraddizione tra l'amore carnale e la fede nel giudizio divìno», sottolinea Piccioni, riferendo che poche ore prima della morte Ungaretti aveva detto di sé "io sono un soldato della speranza!"


(dall'inserto "Sette" del Corriere della Sera)