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Gli
Ossi di seppia tra romanzo poetico dell'Io e Alterità
di Agostino
Salpietro
Affrontare la questione del rapporto con l'Altro nella serie Mediterraneo
degli Ossi di seppia di Eugenio Montale porta inevitabilmente a percorrere
sentieri che a prima vista sembrerebbero condurre lontano dall'esercizio
più tradizionale della critica letteraria, ma così non
è. Anzi, l'esperienza poetica montaliana si apre nella sua dimensione
autentica proprio in questo doppio sviamento, in questo apparente depistaggio.
Una volta intraprese queste "viuzze che
seguono i ciglioni" , per rubare le parole al poeta, che paiono
condurre in luoghi estranei, o poco frequentati, dall'esercizio critico,
ecco che ci si ritrova all'improvviso al centro delle questioni nodali
del linguaggio, della poesia.
Mediterraneo potrebbe essere definito un romanzo poetico dell'Alterità.
Ma questa definizione merita di essere preliminarmente spiegata e circostanziata
nella sua apparente ovvietà.
Vorremo mostrare come in Mediterraneo, nella relazione economica con
l'Alterità e con le sue varie forme, il soggetto-poeta, più
che ripiegarsi liricamente sul proprio sé, tenda invece a un
doppio moto: uno che definiremo dell'entusiasmo (nella definizione platonica
del Dio all'interno del sé ) e l'altro che definiremo dell'estasi
(l'uscita dell'Io dalla propria coscienza).
La costituzione di questa topologia e ontologia dell'Alterità
sarà comunque poetica. La parola, sebbene sia chiara in Mediterraneo
l'intenzione definitoria e speculativa, non perde la propria specificità
poetica (anche se siamo in una zona della poesia di Montale che la critica
ha individuato come una delle più prosastiche ), ma anzi la dialettica
poesia / non-poesia assume su di sé il compito di riportare la
parola al suo originario dire, ad un cosmo in cui, al di là del
rapporto mimetico tra mondo e linguaggio, si instauri una consonanza
significativa, un isomorfismo, tra parola e natura, tra Io e non-Io.
Non a caso il testo "Potessi almeno costringere", che è
una dichiarazione di poetica, si pone in penultima posizione nella suite.
Dunque si era detto romanzo, ma anche dialogo, colloquio sempre sul
punto dell'annullamento di uno o dell'altro agonista. Ma quale dimensione
del dialogo si apre in Mediterraneo? Siamo forse nella situazione del
dialogo come atto d'amore per l'Altro (o dell'Altro) o in quella del
dialogo come irrompere del tragico nelle vicende umane, come riconoscimento
del pericolo della parola che incontra l'Altro da sé?
Adotteremo quindi due criteri, due riferimenti, per verificare come
Mediterraneo si disponga su questa doppia linea di scrittura poetica.
Il primo criterio riguarda la questione, negli Ossi di seppia in generale,
della "posizione assoluta" ; il secondo nascerà invece
da una rilettura di quella presenza etica che la critica ha spesso individuato
in Mediterraneo.
Cosa significa porsi il problema della "posizione assoluta"
negli Ossi di seppia? Analizziamo il verso di Vento e bandiere: "Il
mondo esiste
uno stupore arresta | il cuore [
]". Che
cos'è il "mondo" negli Ossi? Diventa problematico definirlo
come un orizzonte unitario all'interno di un sistema poetico che si
ordina in modo binario come quello degli Ossi. La parola "mondo",
però, ci apre ad una comprensione più profonda del poetare
montaliano. Se è vero che la poesia di Montale pone radicalmente
la questione della conoscenza, problematica, della realtà , allora
il "mondo" dovrà essere quell'orizzonte trascendentale
che contiene al proprio interno l'ordine in cui gli oggetti si possono,
o non si possono, dare all'intenzionalità dell'esserci storico
del poeta-soggetto. Per questo in Montale l'Alterità stessa dovrà,
in qualche modo, ordinarsi in modo binario: l'altro da sé in
quanto oggetto, l'Altro da sé in quanto soggetto anch'esso capace
di intenzionalità. Il "mondo" è la sussistenza
dell'oggetto (la non-esistenza ) nel qui-e-ora che entra in rapporto
intenzionale con un soggetto che è già fuori di sé,
autotrascendentesi, che già soggiorna in modo problematizzante
presso l'oggetto. "Il mondo esiste" significa per Montale
affermare una complessità che merita di essere attraversata postulandone
l'essere assoluto, la radicale immanenza che chiama il soggetto fuori
da sé e lo pone a soggiornare nei pressi dell'oggetto che inaugura
questo mondo. È qui che il discorso montaliano si rivela diretto
fenomenologicamente: "
uno stupore arresta | il cuore".
È lo stabilirsi di una sospensione, di un'epoché che,
se da un lato sospende l'attività descrittivo-ordinatrice del
soggetto nei confronti del mondo, dall'altro permette alla sua intenzionalità
di condurlo nei pressi dell'oggetto-mondo in modo che la precomprensione
che egli è non impedisca di cogliere la cosa, l'oggetto, nella
sua presenza doppia, in quanto posta-descritta dal soggetto e in quanto
origine del rapporto, della storicità del soggetto. Per questo
la lettura di Mediterraneo non potrà prescindere dalla constatazione
di questa doppia tensione che investe l'oggetto, soprattutto per evitare
una lettura che, invece che guidarci verso lo statuto fondamentale del
rapporto con l'oggetto, ci consegni ad una interpretazione vitalistico-irrazionale.
A questo punto si procederà ad una lettura critica dei nove movimenti
nei quali si articola Mediterraneo per vedere in essi da un lato il
dispiegarsi di una struttura-romanzo tematica che non sopravanza ma
si accompagna al verso, e dall'altro quell'estrinsecarsi del rapporto
con l'Alterità che è il tema di questo intervento.
La poesia che apre la suite, "A vortice s'abbatte", prepara,
per così dire, la scena per la rappresentazione. È un
momento di preparazione all'incontro con l'Alterità che trova
rappresentazione nella figura del mare. Mare che è intravisto
da lontano e non ancora definito nella chiarezza del dialogo aperto:
"e al mare là in fondo fa velo | più che i rami,
allo sguardo, l'afa che a tratti erompe | dal suolo che si avvena".
Tutta la prima parte della poesia è dominata da figure che indicano
una discesa verso il basso, un cadere: "s'abbatte", "terra
percorsa da sghembe | ombre di pinastri", "s'ingorgano",
"ripiovere | di schiume sulle rocce". Solo nella chiusa finale
ecco esplodere, inaspettato e incommensurabile rispetto alle premesse,
il miracolo: l'improvviso volo, verticale, di due ghiandaie. Solo qui
la poesia si apre all'incontro con il mare. Solo con quel volo fulmineo,
con quel rialzarsi del viso, al poeta è concesso sospendere quella
dimensione temporale che lo lega alla determinatezza "cronologica"
e porsi, nell'attimo che si apre, in ascolto della voce che viene dalla
lontananza assoluta.
Dopo
questo primo momento di verticalità Montale inizia il suo difficile
dialogo con il mare, dialogo che lo costringerà a ridefinire
l'intero statuto della realtà e del soggetto. È il momento
di "Antico, sono ubriacato dalla voce"
dove si concentra la riflessione poetica sulla legge, sull'oggetto,
sulla creaturalità. Per quanto riguarda l'oggetto, che è
quanto interessa a questo livello, sarà interessante vedere come
questo venga subito messo in relazione all'abisso: "sbatti sulle
sponde | tra sugheri alghe asterie | le inutili macerie del tuo abisso";
e quindi alla profondità misteriosa del mare, dell'Alterità.
Gli oggetti diventano "inutili macerie" e con questo la definizione
dell'oggettualità viene sfondata da qualsivoglia fondazione fisico-metafisica
e la significazione fatta rientrare tra le categorie esistenziali e
non più razionali-conoscitive . L'oggetto viene quindi trasceso
nella sua semplice sussistenza proprio a causa del suo giungere dalle
profondità del mare, ma anche il soggetto viene a trovarsi in
una condizione trascendente sia a causa del sentimento di creaturalità
("Tu m'hai detto primo | che il piccino fermento | del mio cuore
non era che un momento | del tuo") che si instaura tra il poeta
e il mare, sia a causa di quel "come tu fai" che avvicina
il soggetto alla dimensione altra da sé. Ecco che quindi vengono
definiti tre gradi: l'essere assoluto del mare, l'esserci del poeta
in relazione economica con l'Alterità e la sussistenza degli
oggetti che diventano "inutili macerie".
Nel terzo movimento, "Scendendo qualche volta", Montale affronta
le questioni della modalità di questo dialogo impossibile. Si
incontra qui un momento caratteristico della poesia montaliana, quello
della sospensione della temporalità come cronologia: "non
m'era più in cuore la ruota | delle stagioni e il gocciare |
del tempo inesorabile". Questo verso stabilisce due aspetti della
temporalità inautentica: la ruota rappresenta l'eterno ciclo
che non ha la libertà di mutare il proprio identico, e che quindi
agisce sì come protezione contro il divenire, se pensiamo all'archetipo
jungiano del cerchio , ma anche come ostacolo al mutamento, al miracolo,
al fatto inaspettato che sfida la legge naturale e diventa miracolo
liberatorio; l'inesorabilità riguarda invece il fatto che la
dimensione cronologica del tempo non conosce né riscatto né
pietas per l'uomo. Senza dimenticare che qui il "cuore" non
è uno spazio sentimentale quanto piuttosto il luogo dell'apprensione
del sentimento del tempo.
Nel quarto movimento vediamo che l'oggetto si avvolge di un riverbero
esistenziale salvifico: "mi condanna | s'io lo tento anche un ciottolo
| róso sul mio cammino, | impietrato soffrire senza nome, | o
l'informe rottame | che gittò fuor del corso la fiumara | del
vivere in un fitto di ramure e di strame". La "sussistenza"
dell'oggetto viene stravolta e viene ad assumere un valore esistenziale
proprio per questa provenienza altra dalla quale è toccato e
privato di forma. L'oggetto diventa quindi il medio che nella narrazione
si pone tra il poeta e l'Alterità. Per questo la questione montaliana
dell'Altro in Mediterraneo passa inevitabilmente attraverso una ridefinizione
dello statuto oggettuale, che qui si rivela come punto focale in cui
coesistono due forme di intenzionalità: quella dell'Io del poeta,
che nel soggiornare presso l'oggetto sente la propria condanna, e quella
dell'Alterità che rende l'oggetto significativo, ma non di una
significazione chiara ed evidente, piuttosto invece legata al mistero
dell'Alterità come Indistinto. Dall'Indistinto si passa poi a
una forma minore, debole di indistinzione, al "senza nome".
Giunge poi il momento in cui Montale si premura di impedire una lettura
troppo antropomorfa dell'Altro. È la quinta parte di Mediterraneo,
il suo momento centrale: "Giunge a volte repente". Il "Cuore
disumano" indica la profonda lontananza dell'Altro quando lo si
scruta non nel rapporto economico con l'Io poetante (come oggetto-segnale)
ma nel suo essere in sé, nella sua intima libera e abissale essenza.
Infatti il poeta dice: "In me ripiego, vuoto | di forze, la tua
voce pare sorda". È l'impossibilità del soggetto
a trascendersi per soggiornare nei pressi dell'oggetto significativo,
dal momento che il contrarsi in sé dell'Altro lo ha restituito
alla sua semplice sussistenza. "M'affisso nel pietrisco che verso
te digrada" ha il senso di un riconoscimento del ritorno dell'oggetto
a uno statuto di sussistenza. Non vi è più il "ciottolo
| róso [
] | impietrato soffrire senza nome", ma
un "pietrisco" che è viatico verso il mistero, puro
segnale vuoto di ogni significazione che non sia l'essere "tra".
Nel sesto movimento Montale definisce una sorta di etica del poetare
dalla quale si evincono alcune idee fondamentali: la poesia accoglie
(può accogliere) parte del "dono" che l'Alterità
fa all'uomo: questo dono è la memoria immemorabile dell'Altro
come origine del soggetto. È in nuce, e fatti i debiti distinguo,
la medesima cosa che il colloquio holderliniano , dove pare che conducano
anche i versi finali della poesia: "E un giorno queste parole senza
rumore | che teco educammo nutrite | di stanchezze e di silenzi, | parranno
a un fraterno cuore | sapide di sale greco". La poesia dunque raccoglie
in sé un aspetto etico, un "dover essere", ma in realtà
questo "dover essere" è un'indicazione ontologica fondante,
è l'intima natura della poesia come colloquio che scaturisce
dall'ascolto della voce dell'Altro.
Nel brano seguente, "Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale",
nella dinamica binaria che abbiamo individuato, si apre una ulteriore
definizione dell'oggetto: "Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
| siccome i ciottoli che tu volvi, | mangiati dalla salsedine; | scheggia
fuori del tempo, testimone | di una volontà fredda che non passa.
| Altro fui: uomo intento che riguarda | in sé, in altrui, il
bollore | della vita fugace - uomo che tarda | all'atto, che nessuno,
poi, distrugge". Cosa significa questo tentativo, impossibile,
di rinunciare alla propria umanità a favore dell'inorganico se
non il fallimento di una intenzionalità male interpretata come
"volontà di rinuncia"? È la questione del male,
che all'interno del circolo soggetto-Alterità si propone come
l'impossibilità del volere umano di definire ciò che non
può essere espresso dal linguaggio. Nel momento in cui si cerca
il senso del "male | che tarla il mondo" la realtà
intera perde ogni possibilità di significazione autentica. È
il radicale sfondamento di uno statuto conoscitivo che tenti un passo
oltre la dimensione-limite dell'uomo.
Si
arriva così al penultimo passaggio di questa catena di testi.
Il lettore si trova di fronte ad un secondo, ulteriore momento di dichiarazione
poetica, che, rispetto al primo, aggiunge la positività del desiderio
e rivela il senso ultimo della nostra ricerca: l'abbandono. Tralasciando
forzatamente la questione del poetico, vediamo come nella definizione
dell'abbandono si concentri il vero discorso ontologico-conoscitivo
del rapporto soggetto-Alterità. Se si pensava che l'impianto
fenomenologico di Montale si fermasse ad un'epoché che si risolvesse
in una prevalenza della sensazione sulla razionalità, ora il
poeta più chiaramente spiega che così non è. L'epoché
è sia del pensiero sia dei sensi, sia del senso. È il
rifluire nell'illimitato che è la "vastità",
il mare, l'Essere. L'Altro diventa esperienza possibile attraverso il
poetico che qui è totale sospensione di sé fino all'estasi.
Il soggetto è totalmente fuori di sé e, fuori del mondo
nel suo semplice sussistere, riguadagna una ultima possibilità
conoscitiva, ma al prezzo della perdita dell'identità riconoscibile,
del sé: "M'abbandonano a prova i miei pensieri. | Sensi
non ho; né sensi. Non ho limite".
Mediterraneo si chiude, infine, con un testo dove quel rapporto tra
Alterità e soggetto che abbiamo seguito fin qui svela il suo
ultimo e fondamentale senso: "Bene lo so: bruciare | questo,
non altro, è il mio significato". Si apre qui la possibilità
di comprendere un di più che inizialmente non era dato, non era
posto. Questo di più è l'accettazione del destino, è
il ricordo dell'immemorabile ("sbigottimento mi prese | quale d'uno
scemato di memoria | quando si risovviene del suo paese"). Questa
"lezione" imparata dal soggetto è una vera rivelazione
esistenziale: la caducità dell'uomo è lo specchio del
"fisso divenire" dell'essere che nella figura del mare trova
una possibilità di espressione nel linguaggio.
Ecco che quindi potremo concludere questo intervento citando un testo
che, ancora una volta, ci porta lontano dalla critica letteraria, ma
solo in apparenza, perché definisce con rigore proprio la possibilità
di poter identificare in quel poema-romanzo che è Mediterraneo
quella dimensione dell'abbandono che permette all'uomo di incontrare
l'oggetto e l'Alterità nella loro dimensione autentica: "Attraverso
il contegno della Gelassenheit possiamo aprire spazi all'interrogazione
per alcunché di altro che non precomprendiamo con il nostro sapere.
Si tratta di passare da un'ancora volitiva e negativa negazione del
volere, un non-volere, ad un non volere privo di volere e povero persino
di una residua negatività, un non volere che non sia risultato
estremo di un ancora volente non-volere. In questo spazio umile e contenuto
aspettando senza ad-tendere, senza adtesa che voglia precorrere l'atteso,
[
], un semplice e raccolto contegno, possiamo aprirci al mistero
dell'altro, pur sapendo che l'altro potrebbe mai giungere a noi: potremo
anche aspettarlo per millenni, senza che la nostra vuota attesa ne favorisca
la venuta. Ma soltanto in questo approfondente contegno, sulla linea
del nulla, nel deserto della nientificazione, [
], possiamo ascoltare
l'eventuale gratuito darsi di una parola, incostruibile e imprevedibile,
che possa aprire nuovamente la storia al libero darsi della verità
dell'essere" .
Questo è Mediterraneo, questo "contegno dell'abbandono"
che non solo si presenta come eccezionale possibilità di conoscere,
ma anche come motore, come modalità di un rapporto che ridelimita
e riscrive, poeticamente, il rapporto con gli oggetti e l'Altro da sé.
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