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L'anguilla,
la sirena
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la poesia
"L'anguilla,
la sirena". Metafora, certo: identificatio implicita per cui, se
si presuppone il valore metonimico del secondo termine, anche l'anguilla
diventa, sin dall'inizio, incarnazione della poesia. Per metonimia (qui,
la causa per l'effetto) la sirena rimanda infatti al suo canto e al
suo incanto, che sono quelli stessi dell'arte. Siamo sempre all'interno
di quella mitologia pagana che, in questa parte estrema delle "Silvae",
sembra voler sostituire quella cristiana: "Giove è sotterrato",
"la sirena".
Ma anche metonimia: se si presuppone la raffigurazione tramandata dall'iconografia
e dal mito, fra i due termini (e i loro rispettivi valori traslati)
si istituisce una relazione di contiguità logica e materiale.
In questo caso, nel passaggio dall'anguilla alla sirena l'intelletto
non sovrappone campi associativi diversi (come accade nella metafora),
ma sembra esserci proprio una "partecipazione reale della sfera
del proprie alla sfera dei tropi". Infatti, la sirena è
per metà pesce, creatura marina, e per metà donna, creatura
terrestre, e sembra dunque poter conciliare in sé mare e terra:
come, appunto, l'anguilla. Entrambe rinviano a un comune campo associativo
riferito all'universo terraqueo; entrambe abitano il fondo, sotto la
superficie dell'acqua, anche se tendono a direzioni diverse: alla vista
del cielo e alla elevatezza del canto la sirena, alla profondità
materica e alla melma l'anguilla. Ne deriva che questo ambito di contiguità
metonimica finisce per assorbire in sé la metafora iniziale,
sicché non più solo la sirena è funzione metonimica
del canto, ma lo diventa anche l'anguilla. In altri termini, nell'effetto
complessivo e conclusivo, nella totalità del testo, la metafora
risulta interna alla metonimia, con ovvie conseguenze sul piano del
significato: fra l'alto della sirena e il basso dell'anguilla, fra l'elevatezza
del canto e la melma del sottoterra si stabilisce una continuità
di rimandi scivolanti sullo stesso asse di contiguità. La poesia,
così, riguarda entrambi questi punti estremi; ma, nella misura
in cui si fa proprietà dell'anguilla, tende a spostarsi nel fango
del vissuto e del deietto, ad annidarsi nella fossa della memoria e
del quotidiano, abbandonando il sublime della lirica per l'occasionalità
miscellanea della "silva" o per la prosa del "romanzo".
Gli emblemi del canto, caduti dall'alto nella polvere (la cicala dell'Ombra
della magnolia) o nel limo (l'urogallo del Gallo cedrone, famoso anch'esso,
come la sirena, per il suo canto d'amore), tornano qui a rivivere, incarnandosi
in una nuova creatura in cui le vecchie contraddizioni sembrano superate.
L'anguilla per un verso è, junghianamente, "anima",
parte femminile dell'uomo, sede delle sue tendenze fantastiche e poetiche;
per un altro verso è "phallus", "freccia",
"frusta", simbolo maschile di aggressività e di resistenza.
Nell'anguilla
viene annullata anche l'antica contrapposizione fra mare e terra. Essa
risaliva a Esterina di Falsetto, "equorea creatura" posta
in alternativa alla "razza di chi rimane a terra", a cui apparteneva
il poeta: da un lato l'istintività, l'adesione alla natura e
all'immediatezza, dall'altro la ragione e la coscienza; da una parte,
smemoratezza felice ma inconsapevole (e dunque fragile, minacciata:
"i vent'anni ti minacciano"), dall'altra, uniti insieme, frustrazione
e chiaroveggenza, scacco ed eticità. L'anguilla valica di colpo
questa alternativa: la resistenza, la tenacia, gli attributi dell'eticità
montaliana pertengono ora al biologico, all'istinto vitale, al freudiano
principio di piacere.
Sono ancora in gioco i quattro elementi costitutivi secondo i presocratici:
aria (o cielo), terra, acqua, fuoco; ma mentre i termini di ogni coppia
prima venivano divaricati e contrapposti (cielo vs. terra; terra vs.
acqua; acqua del mare vs. fuoco) ora sembrano tendere a un punto di
riunificazione nel basso. Prima dell'Anguilla, il cielo di Clizia si
allontanava sempre di più dalla terra, sino ad apparire inconciliabile
con essa, e il fuoco della donna-angelo era di gelo e aveva per scenario
i ghiacci di un fiume nordico; mentre in Mediterraneo l'acqua del mare
era in opposizione sia alla terra che al fuoco, rappresentato dalla
"favilla di un tirso", anticipazione del "rogo (...)
di un arido paletto" di Crisalide. In entrambi i casi (quello di
Clizia e quello del soggetto protagonista di Mediterraneo e di Crisalide)
il fuoco era il simbolo della legge etica, della decisione del gesto
morale che si opponeva all'indifferenziato neutrale. Ora, invece, nel
Gallo cedrone, nell'Anguilla e in altre poesie di questo periodo (1948-50
circa), la scelta del basso è anche scelta di un valore diverso
da attribuire al fuoco. Il fuoco a cui si allude implicitamente nell'Anguilla
(presente dapprima nell'assimilazione del pesce a "torcia",
che riprende tirso di Mediterraneo e a "scintilla",
poi nell'asse di scivolamento metonimico da "incarbonirsi"
a "bronco seppellito") e di cui esplicitamente si parla in
Lasciando un 'Dove' (1948,
come L'anguilla) è quello dell'amore terreno e della
sopravvivenza del vitale.
In Lasciando un 'Dove' la differenza rispetto al passato è
sottolineata da un avverbio di tempo, "or", che evidenzia
l'opposizione a un "prima" sottinteso, in cui il fuoco era
invece quello del sole e di Clizia: "ho amato il sole, / il
colore del miele, or chiedo il bruno, / chiedo il fuoco che cova, questa
tomba / che non vola, il tuo sguardo che la sfida". Acqua
e terra sono conciliate nell'anguilla esattamente come cielo e terra
(e fuoco, qui in accezione diversa, però) ne Il gallo cedrone
(il quale d'altronde è un alato sì, ma terricolo,
come denota il nome stesso): "salmì di cielo e terra a lento
fuoco". Le forze dell'istinto e dell'inconscio, da sempre assimilate
al mare, si alleano alla terra. L'anguilla è anguis, serpe, creatura
terragna, melmosa e quasi sotterranea, ma anche pura energia marina,
estrema erede dell'eredità di Esterina. Lo sprofondamento ctonio
salvaguarda, insieme, il selvaggio e l'ethos.
La rigida sfera superegotica rappresentata da Clizia sembra ormai abbandonata.
Essa presupponeva una scissione della soggettività ("l'anima
divisa" degli Ossi) e un intero sistema di opposizioni polari volte
a tutelare il valore, a garantirne la sopravvivenza attraverso la durezza
di una scelta etica (sotto tale profilo c'è indubbiamente una
linea di continuità da Mediterraneo, L'agave
su lo scoglio e Crisalide a Iride e Voce
giunta con le folaghe). Ora, invece, gi elementi costitutiva della
ricerca montaliana tendono a una loro riunificazione, attraverso un
rapporto più equilibrato col mondo magico e basso delle pulsioni,
dell'animalità, dei morti: nel quale finalmente si incontrano
inconscio e conscio, istintualità e resistenza, natura ed eticità,
parte femminile e parte maschile, acqua e terra, fuoco e cielo.
(Romano Luperini, Montale o l'identità negata,
Liguori Editore, Napoli 1984
Trascrizione di Ileana)
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