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Solmi e la prima poesia montaliana
di
Marianna Inserra
Il
critico e poeta Sergio Solmi (1899-1981) apriva e chiudeva il volume
Scrittori negli anni, la raccolta di saggi critici che gli fece vincere
il Premio Viareggio, con un saggio su Montale: Montale 1925, scritto
nel 1926, e La poesia di Montale, del 1957. Se si pensa all'amicizia
che lo legò al poeta genovese, nata alla Scuola di Fanteria di
Parma nell'autunno del 1917 e durata tutta la vita (si spensero entrambi
nel 1981), non meraviglia il fatto che le pagine del libro Scrittori
negli anni prendano avvio proprio da Montale. Solmi e Montale condivisero,
quindi, la terribile esperienza della prima guerra mondiale che sorprese
la loro generazione prima dei vent'anni, facendola sprofondare in uno
sconforto allucinante, nella sfiducia verso l'uomo e il destino. Solmi
aveva soltanto 18 anni quando conobbe il poeta genovese, che, come il
nostro critico ricorda, venne considerato dai suoi amici commilitoni
come "il più maturo e autorevole del gruppo" , e Solmi
comprese immediatamente la grandezza della sua poesia (aveva già
scritto Meriggiare pallido e assorto, il primo "osso di seppia")
e la specificità che già allora, nel 1917, la distingueva:
"A
differenza di noialtri, anfananti tra i rimasticaticci scolastici e
le formule letterarie di moda, egli (Montale) già scavava in
una materia tutta sua, con resistenze ed effetti concreti"
Solmi,
dimostrando un sicuro intuito di lettore, fu il primo a segnalare la
diversità di stile e di ispirazione di Montale rispetto ai poeti
suoi conterranei (Sbarbaro, Boine, Grande, Roccatagliata Ceccardi),
sostenendo come "a parte l'aspetto locale e paesistico che il Montale
ha senza dubbio in comune con costoro, egli abbia d'altro ben poco da
spartire" ponendosi contro quanto affermato da Emilio Cecchi e
da Carlo Linati l'anno precedente (1925) che avevano sottolineato troppo
la dipendenza di Montale da questi poeti della cosiddetta "linea
ligure".
La poesia di Montale - spiega Solmi - porta con sé, al suo nascere
"il motivo individuale" suo generatore e proprio per questo
motivo essa ha quel "tono intimo E compatto e necessario che ricercheremmo
vanamente altrove" e che culmina nel poemetto Mediterraneo, questo
mare "vivo e cangiante nei suoi multiformi aspetti, che corrode
la terra col salso delle sue maree e impregna del suo fiato gli olivi
e limoni delle ripe ardue" . Mediterraneo è la serie più
bella degli Ossi di seppia, secondo Solmi, perché Montale tocca
in essa punti di "casta eloquenza" e di "alta e musicalissima
retorica" rintracciabili solo in grandi poeti quali Leopardi e
Baudelaire.
Solmi parla di una poesia integrale, materiale e spirituale insieme,
caratterizzata da un "sapore di compiutezza e di oggettività,
di materia dominata e intimamente esaurita da ravvisarvi . una parvenza
dell'unica classicità compatibile con la nostra epoca difficile".
Già nel 1926 Solmi sosteneva la completezza che caratterizzava
la poesia montaliana, e faceva notare che la possibilità di riscatto,
di salvezza, veniva indicata da Montale nella "maglia rotta nella
rete", nell'"anello che non tiene", attraverso una disposizione
classica, perché essa risponde ai bisogni poetici di ogni tempo
e nutre "il vagheggiamento supremo di una realtà assente"
, ossia di "un altro mondo di realtà incorrotta e di sentimento
pieno" che, come Solmi spiegherà nella recensione a Le Occasioni,
solo la poesia può offrire stabilendo un rapporto di "confidenza"
fraterna, di comunicazione tra gli uomini. Solmi è stato, quindi,
il primo a segnalare la classicità della poesia montaliana che
non sfugge alle responsabilità del suo tempo, perché -
spiega Solmi - non trascura "quei problemi di forma e di necessità
lirica che son come la croce della nostra modernità letteraria"
. Tiziana de Rogatis, nel suo interessante studio su Montale riprende
e sviluppa il concetto di "paradossale classicità"
di cui aveva parlato Solmi (riferendosi a Thomas Eliot), per proporlo
come chiave di lettura della prima poesia montaliana. La de Rogatis,
prendendo in prestito le parole di Solmi, spiega che questo genere di
"classicismo" è mostruoso" , disciplinato da due
principi opposti e sempre in conflitto tra loro : l'Ordine e il Caos.
In sostanza, la studiosa riprende il concetto di classicità che
Solmi aveva attribuito a Valéry, da lui riconosciuto come il
più grande poeta del Novecento insieme a Montale, proprio perché,
secondo il critico, il poeta classico:
"Imprigiona nelle 'belle catene' del linguaggio umano, la materia
poetica più vaga e sfuggente, gioco di relazioni colte su di
un mondo sconvolto e distrutto, echi del caos" .
Montale
giunge a questo classicismo paradossale per necessità: la necessità
dello stile, "l'ultima insopprimibile esigenza" - scriveva
Solmi nel 1957 - "l'ultima garanzia di autenticità della
nostra reazione al mondo attorniante" .
La de Rogatis, basandosi su quanto sostenuto da Solmi, scrive : "La
strada del risarcimento e dell'abbandono estetico è impedita.Alla
condizione di frustrazione e disarmonia del soggetto, che è alla
base dell'atonia esistenziale degli Ossi, si associa la necessità
del decoro e della dignità dell'esercizio intellettuale".
Solmi aveva compreso, già nel 1926, l'impegno stilistico di Montale
e la sua aspirazione classica, facendone notare quella "materia
dominata e intimamente esaurita" dallo stile, proprio come nel
lavoro paziente e calmo di un artigiano. In tempi recenti, il critico
e poeta Silvio Ramat, nell'esaminare la poesia degli Ossi, molto spesso
riconosce la preveggenza, "l'intima comprensione di Solmi"
, che gli permisero di vedere prima e meglio degli altri critici che
intervennero sulla prima edizione degli Ossi (tra cui Cecchi) e proprio
per queste sue doti naturali i suoi giudizi sono tuttora validi ed autorevoli,
nonostante il fatto che la pubblicazione della lirica Arsenio, considerata
fondamentale per un corretto esame critico su Montale e pubblicata dopo
il suo saggio, abbia reso "mancanti" i giudizi formulati sul
libro del 1925.
Solmi vedeva ben al di là della rigida teoria crociana, egli
evidenziava la compiutezza della poesia montaliana, quel bisogno di
essenzialità denunciato più tardi dallo stesso Montale
nell'Intervista immaginaria del 1946:
"Ubbidii a un bisogno di espressione musicale. Volevo che la mia
parola fosse più aderente di quella degli altri poeti. Più
aderente a che? Mi pareva di vivere sotto a una campana di vetro, eppure
sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale" .

(di
Marianna Inserra)
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