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Commento a "Piccolo testamento"

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Scritta nel 1953 e pubblicata nello stesso anno sulla rivista "La Fiera Letteraria", questa poesia è la prima delle due "Conclusioni provvisorie" che costituiscono la settima e l'ultima sezione de La bufera e altro; in effetti ha tutto l'aspetto di un messaggio conclusivo, di un lascito testamentario indirizzato a una donna (forse Clizia, forse la Volpe, che ispira le poesie più tardi de La bufera è che va identificata nella poetessa Maria Luisa Spaziani) in cui si vuole trasmettere il senso di una ricerca morale estranea alle fedi e ai dogmi: una ricerca che ha certo scarso peso di fronte alla distruzione prossima ventura della civiltà occidentale - qui preconizzata in un'allegoria di rara efficacia espressiva - ma che pur sempre un segno, un'impronta che la poesia col suo orgoglio e la sua umiltà, ha lasciato sul suo tempo.

La concezione radicalmente negativa della storia e dell'ideologia che si affaccia da questa lirica andava decisamente controcorrente rispetto al clima culturale dei primi anni 50, dominato dalle parole d'ordine del neorealismo e della letteratura " impegnata ". Anche per questo, quando nel 1956 uscì "La bufera e altro", le reazioni della critica marxista e dell'intellettualità di sinistra furono sostanzialmente negative. Par la sanguinari, per esempio, accusò il poeta di essersi allontanato "dalle nostre recenti esperienze, della nostra sofferenza d' oggi". E ancora nel 1968 Franco Fortini vedeva in questa lirica l'espressione di una posizione aristocratica e alto borghese, colpevolmente insensibile ai veri problemi del secolo:." murato da una forza di cui rifiuta i nomi storici e che quindi gli interdice ogni rapporto col fare altrui [...] Montale ha espresso la rimozione che la parte più europea del ceto intellettuale italiano ha operato del conflitto fondamentale del nostro secolo-quella sociale e politico-sostituendolo col tema "eterno" dello scacco e dell'incomunicabilità. Le "bufere" delle barbarie fascista, della guerra e della catastrofe atomica sono quindi interpretate come mere intensificazione di una unica potenza intrinsecamente malvagio, l'esistenza".

Oggi possiamo riconoscere la carica profetica che le posizioni di Montale assumono se rapportate ai tempi in cui vennero formulate: la linea di pensiero negativo che attraversa tutto il 900 invano soffocato dal clamore delle fedi, dell'utopia totalizzante, delle ideologie palingenetiche, trova in Montale uno dei più coerenti e sensibili terminali, capace di confrontarsi senza schermi con la storia, e di dedurne senza paura un "arido vero" di leopardiana memoria, altrettanto pensoso renitente di fronte alle "magnifiche sorti e progressive" sbandierate sull'orlo dell'abisso.



("I testi della letteratura italiana";
a cura di V. De Caprio e S.Giovanardi - Einaudi)